«Gli uffici del futuro saranno verosimilmente dispersi in varie zone e saranno probabilmente più simili a dei co-working».
Luca Brusamolino
Lo spazio fisico di lavoro ha influenza sulla produttività, sull’efficienza e sui ritmi di un’azienda. Abbiamo posto qualche domanda a Luca Brusamolino, CEO di Workitect, azienda che si occupa di Smart Working e Progettazione uffici, che ci ha spiegato la relazione che lega la produttività aziendale agli spazi degli uffici.
Efficiente non vuol dire più piccolo! L’employee experience prima di tutto.
Ridurre i metri quadri disponibili per ogni dipendente ottimizzando gli spazi, non porta sempre benefici alle imprese. È quello che ci racconta Luca Brusamolino, CEO di Workitect e autore del libro “Lo smart working comincia dall’ufficio”.
«Una volta sono andato in un’azienda per una consulenza e mi hanno detto che l’unico giorno in cui tutti sono presenti in ufficio è quello in cui offrono il pranzo. Un ufficio non abitato non funziona, anche se è stato progettato nel migliore dei modi. Per questo serve dare alle persone la giusta motivazione per andare in ufficio».
Motivazione, certo, ma come si convince una persona a rinunciare alle comodità di casa?
«Il modo migliore per misurare l’esperienza degli impiegati è ascoltarli. Il metodo che abbiamo progettato, in particolare, parte dall’ascolto e prevede tre fasi: analytics, survey e focus group. Attraverso le analytics abbiamo un’idea dei KPI raggiunti relativi agli spazi, all’organizzazione e, più in generale, alle persone. Le survey permettono di raccogliere le opinioni e indagare sul grado di soddisfazione generale.
I focus group, infine, incentivano il dialogo e l’avanzamento di proposte»
Un necessità ricorrente è certamente la personalizzazione.
Se un tempo personalizzare l’ufficio significava poco più che portare delle fotografie per la propria scrivania, con la graduale scomparsa degli spazi individuali la personalizzazione è diventata più legata all’esperienza: quando e dove lavorare, se andare in ufficio o meno… le persone cercano insomma spazi più flessibili, dentro e fuori dall’azienda.
Cosa piace e cosa non piace ai dipendenti del proprio ufficio?
«I punti più critici riportati più spesso sono le temperature e il rumore, e in generale, tutto ciò che disturba fisicamente. Gli aspetti positivi più frequenti, invece, sono legati al buonumore associato a determinati spazi: stanze dove potersi concentrare, sale riunioni adeguate, luoghi per la collaborazione o altri elementi di contesto come le piante da ufficio».
Com’è fatto uno spazio di lavoro ideale?
Ad oggi, i dipendenti si spostano molto all’interno del proprio ufficio e questa necessità va tradotta in uno spazio flessibile, modulabile.
<<Un’azienda medio grande dovrebbe avere uno spazio pensato per le attività individuali, dove c’è silenzio e possibilità di concentrarsi, e uno spazio condiviso per le attività in collaborazione. Anche i servizi sono importanti: sia quelli adiacenti all’ufficio come un bar, sia quelli interni come un angolo per lo svago>>.
Sono questi gli spazi che possono fare la differenza tra un ufficio popolato, e quindi efficiente, e uno che non viene frequentato.
«Nelle città più grandi, è sempre più diffusa la tendenza ad istituire spazi virtuali più piccoli ramificati nel territorio. Questi spazi sono pensati per far incontrare i collaboratori, anche in gruppi più piccoli a seconda di dove abitano».
Negli anni ’80 gli uffici erano un susseguirsi di gabbiotti singoli e strettissimi, poi sono arrivati gli open space. Come cambiano gli spazi di lavoro nel tempo?
Lo spartiacque più recente e decisivo nell’evoluzione dell’architettura dell’ufficio è stata ovviamente la pandemia. Prima della pandemia la tendenza dell’architettura dell’ufficio era verso il desk-based office: i dipendenti svolgevano l’80% delle proprie attività presso la propria postazione. In un passato non troppo remoto, gli uffici erano strutturati in maniera modulare in base al livello gerarchico con scrivanie condivise per i dipendenti e uffici singoli, ampi e spaziosi per i dirigenti. L’origine di questa scelta è da individuare nella convinzione che un open space condiviso generi più collaborazione tra pari. Questa convinzione si è poi rivelata inesatta soprattutto in tempi di pandemia, con l’aumento delle videochiamate perché un collaboratore in call disturba gli altri che hanno bisogno di concentrazione.
«Degli spazi simili garantiscono poca possibilità di evasione, se si pensa che prima della pandemia gli uffici venivano progettati con poche sale riunioni grandi. I manager, al contrario, erano smart workers anche prima della pandemia: si spostavano molto di più rispetto ai dipendenti, sia all’interno che all’esterno degli uffici»
Parlando di evoluzione degli spazi fisici, in passato un ufficio tipico era costituito al 75% da postazioni scrivanie e al 25% da sale riunioni, o, più in generale, spazi condivisi, come aree break, bar, spazi svago. Gli spazi condivisi sono poi aumentati, infatti le proporzioni tra postazioni scrivania e aree comuni si sono spostate per un 50/50 nello stesso edificio adibito a spazio di lavoro, mentre dopo la pandemia le postazioni individuali sono calate al 30%, contro un 70% di postazioni condivise.
Sulla base di questa evoluzione, come saranno gli uffici del domani? Una serie di spazi aperti e una serie di loculi per call?
L’ufficio è sia veicolo di un comportamento che risposta a un’esigenza. Il lavoro ibrido oggi è polarizzato tra lo smart working – con le comodità di casa – e un ufficio rumoroso, in cui i colleghi chiedono di fare silenzio mentre sono in call.
«Gli uffici del futuro saranno verosimilmente dispersi in varie zone e saranno probabilmente più piccoli, condivisi con più realtà, più simili a dei co-working».
Da questa preziosa intervista abbiamo imparato che, poiché il lavoro è sempre più ibrido, anche gli spazi dovrebbero adattarsi e diventare a loro volta sempre più ibridi.
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